Dal miglioramento continuo al cambiamento continuo

Buona parte della storia umana è stata di tipo lineare. Un progresso dopo l’altro, un miglioramento dopo l’altro. Da qualcosa di buono a qualcosa di migliore.
Anche i percorsi professionali hanno sempre seguito percorsi di questo tipo.
Studio, mi specializzo, entro in azienda, scalo le gerarchie, faccio carriera.
Ma questo è un paradigma che ormai poco descrive l’attuale mercato del lavoro e la nostra società.
Le organizzazioni, se guardiamo le statistiche, sono tutt’altro che longeve o immortali come un tempo.
Molte delle professioni sono sottoposte a un grado di obsolescenza sempre maggiore.
Nelle aziende, è difficile che qualcuno si trovi ad affrontare e gestire le stesse sfide di qualche anno fa o di quando aveva iniziato.
Intorno a noi: tutto cambia.
Parlare di significato e sostenibilità, di valori, di responsabilità sociale, appariva sino a qualche anno fa una sfumatura di colore. Oggi è imprescindibile e compare nei bilanci.
L’era del miglioramento continuo, della linearità è giunta al tempo.
È l’era del cambiamento e ci siamo dentro. Più che una leva da pigiare in continuazione per qualche ricompensa, la grande domanda è se una certa scatola ci rende felici e se in una certa scatola riusciamo a esprimere il nostro vero valore e creare impatto. Per noi, per gli altri.

Da un paio di anni ho iniziato a dedicarmi a questioni di questo genere, lavorando sempre più con persone di questo tipo qui. Io le chiamo “top performer”, con l’accento non tanto, o solo, sulle prestazioni, ma sul coraggio di cambiare. Sulla capacità e forse anche ostinazione di voler incidere su più e più persone. 

Persone che hanno il coraggio di guardarsi intorno e guardare intorno. Che disegnano cerchi più grandi. Grandi. A volte grandissimi. E che hanno la capacità, ma soprattutto sentono la responsabilità di includere nel proprio cerchio molte più persone.